Caren Agreiter: «Il fair play fa crescere fuori dal campo»
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Ma ancora di più è stato un grande esempio, dentro e fuori dal campo. Ha appena scritto una autobiografia, Libero di sognare: «Mi auguro che le mie parole possano essere d’ispirazione per tanti ragazzi e ragazze e che riescano a realizzare i loro sogni, proprio come è successo a me», racconta nell’intervista a WeFairPlay.
Nella sua carriera ha vinto praticamente tutto: quanto era importante per lei il fair play?
«Se sono riuscito a vincere tanto è stato anche grazie agli insegnamenti positivi che ho avuto la fortuna di ricevere durante il mio percorso sportivo e che ho voluto trasmettere a mia volta. Credo che il riconoscimento più grande verso quanto sono riuscito a trasmettere sia stato il ritiro della maglia numero 6 qui al Milan, un gesto che va oltre i successi e i trofei che ho alzato e che rappresenta il mio lascito sul piano umano».
Sacrificio, lealtà, tolleranza: i titoli del suo libro “Libero di sognare” fanno riferimento a valori fondamentali dello sport. Trova che questi valori siano ancora attuali nel calcio di oggi?
«Io credo che lo sport sia da sempre un veicolo di valori importanti per i giovani. Il calcio è lo sport più popolare, più seguito e tante volte il problema deriva dal fatto che siamo noi a dimenticare le responsabilità che abbiamo nei confronti di chi ci segue. L’augurio che faccio ai giovani che vivono il calcio di oggi è di essere sempre se stessi, di non trovare scorciatoie. In un mondo come quello di oggi che cerca continuamente di cambiarci, essere sé stessi è già un successo per arrivare a realizzare i propri sogni».
Sempre nel libro scrive: «Dalla mia infanzia ho imparato quanto sia importante non lasciare indietro nessuno e saper valorizzare le qualità di ognuno». Crede sia possibile anche in un mondo dello sport sempre più orientato alla prestazione, anche a livello giovanile?
«La mia infanzia è stata segnata da Don Piero, il parroco dell’oratorio, che ha trovato la chiave giusta per valorizzare ognuno di noi e tirare fuori il nostro talento, ognuno per la sua passione. La chiave giusta di Don Piero fu la libertà. Oggi, molto spesso, bambini e ragazzi sono messi sotto pressione e questo influisce negativamente sulla loro crescita. In fin dei conti, ogni bambino deve essere libero di esprimersi e noi dobbiamo essere bravi ad alimentare le loro passioni e il loro entusiasmo perché è a 8,10,12 anni che capisci quello che ti piace davvero. Sono stato fortunato ad incontrare persone che hanno esaltato le mie qualità fin da piccolo, spero che tanti bambini e ragazzi possano avere la mia stessa fortuna».
Al Travagliato, la sua prima squadra, i giovani calciatori dovevano avere un comportamento corretto dentro e fuori dal campo: i ragazzi dovevano mantenere un comportamento decoroso anche sugli spalti, in campo non era permesso protestare con arbitri e allenatori, la voglia di vincere non doveva pregiudicare la correttezza. Queste regole che seguiva il Franco Baresi ragazzo quanto hanno influito poi anche sul comportamento del Franco Baresi campione?
«Il mio primo allenatore teneva molto alla nostra educazione, al comportamento da tenere. Cercava sempre di trasmetterci che il rispetto era fondamentale e che dovevamo sempre tenerlo a mente in ogni momento della nostra giornata. Questo insegnamento ha rappresentato una tappa importante che ha influenzato tutto il mio percorso; Infatti, ho sempre cercato di valorizzare l’aspetto umano, in ogni ambiente, non solo nello sport. Capire che di fianco hai prima di tutto una persona e poi un atleta è alla base del rispetto».
Nel suo libro racconta anche di due gesti contrari al fair play: il rigore da lei trasformato contro l’Atalanta in una partita di Coppa Italia nato da una rimessa non restituita agli avversari che avevano buttato fuori la palla perché c’era un suo compagno a terra e il ritiro della squadra del Milan dalla semifinale di Coppa Campioni contro l’Olympique Marsiglia («una mancanza di rispetto – scrive nel libro – agli avversari, all’arbitro e ai tifosi»). Come mai ha deciso di dare tanto spazio a questi due episodi negativi, considerata la sua lunga carriera esemplare dal punto di vista della correttezza in campo?
«Ho voluto dare spazio perché sono convinto di aver imparato molto da quelle due esperienze. La miglior crescita deriva dalla consapevolezza dei nostri errori, senza mai dimenticare che l’avversario lavora e fa i tuoi stessi sacrifici e la vittoria non ha valore se il rispetto viene meno».
Lei oggi è anche brand ambassador della Fondazione Milan, il cui obiettivo è condividere con i giovani i valori dello sport, per aiutarli ad affrontare la vita in modo positivo: come cerca di trasmettere questo messaggio ai ragazzi e alle ragazze?
«Da quando ho indossato la fascia da Capitano ho capito cosa vuol dire gestire una squadra e quali erano le mie responsabilità nei confronti dei compagni. Ho imparato a non lasciare indietro nessuno e ad essere di aiuto a chi ne aveva bisogno. Ho voluto portare avanti questo atteggiamento anche fuori dal campo insieme a Fondazione Milan, schierandomi prima di tutto dalla parte dei più fragili. La mia carriera sportiva è stata sicuramente significativa e, se mi fossi fermato all’ultima partita, probabilmente, non avrei dato il giusto valore al mio percorso. Per me è un onore poter continuare a trasmettere i valori positivi dello sport “indossando” la maglia di Fondazione Milan in mezzo ai giovani. Quando ho scritto il libro “Libero di sognare” ho pensato che se fossi stato d’ispirazione anche solamente per una persona, allora sarei stato felice. Mi auguro che le mie parole possano essere d’ispirazione per tanti ragazzi e ragazze e che riescano a realizzare i loro sogni, proprio come è successo a me».
C’è un gesto di fair play – avvenuto nel calcio ma anche in altri sport – che l’ha particolarmente colpita nell’ultimo anno?
«Se dovessi pensare ad un episodio di fair play avvenuto quest’anno, d’istinto, mi viene in mente la reazione dei compagni di squadra sul finale di partita Cagliari-Milan di fronte ai cori razzisti verso Mike Maignan e Fikayo Tomori. Il fair play non riguarda solo il rispetto delle regole in campo ma verso l’avversario e i compagni di squadra. Il Milan sta portando avanti da tempo una campagna importante contro il razzismo chiamata “RespAct”, che ribadisce l’impegno del Club di guidare il cambiamento contro ogni forma di discriminazione».