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29 Ottobre 2024Nel cuore della campagna modenese, il centro La Lucciola, nato nel 1988, è un punto di riferimento per giovani con disabilità. Fondato dalla dottoressa Emma Lamacchia insieme ai suoi collaboratori, la dottoressa Sarti e il dottor Bencivenni, il centro si è sviluppato con l’obiettivo di offrire un contesto terapeutico alternativo ai tradizionali ambulatori, portando le attività riabilitative in spazi aperti e familiari, come case di campagna e strutture più accoglienti. Sin dall’inizio, l’idea è stata quella di creare uno spazio che supportasse i ragazzi nell’affrontare le sfide della vita quotidiana, incoraggiandone l’autonomia e l’interazione sociale. La svolta arriva nel 1995, con l’incontro tra il centro e Mario Calamai, un ex giocatore di basket italiano. Calamai aveva una piccola casa a Monzuno, vicino alla sede estiva del centro, e un giorno, incuriosito dalle attività, decise di visitare La Lucciola. Da quel momento nacque un’idea destinata a cambiare il volto del centro: introdurre il basket come strumento di riabilitazione.
Un’occasione inaspettata
"Inizialmente eravamo scettici", racconta Giovanni Ziosi, socio del consiglio direttivo della Lucciola. "I nostri ragazzi presentavano disabilità fisiche e cognitive importanti: tetraparesi, difficoltà legate ai disturbi dello spettro autistico, e molte altre sfide". Nonostante le difficoltà, Calamai iniziò con piccoli allenamenti in un campo improvvisato, utilizzando uno scatolone come canestro.
Le prime sfide e le prime vittorie
Il primo campo di gioco era tutt’altro che ideale: una vecchia stalla con pareti scrostate e un ambiente buio e freddo. Ma proprio lì si è rivelata la forza del metodo Calamai: il basket ha mostrato il suo potenziale per stimolare capacità motorie, cognitive e relazionali. I ragazzi, che inizialmente non guardavano i compagni e si isolavano, hanno iniziato a scoprire che passare la palla richiedeva attenzione all’altro, concentrazione e interazione. "Per una persona con tratti autistici marcati, che normalmente non guarderebbe nessuno, trovarsi a dover passare la palla è un'esplosione di sinapsi", spiega Ziosi. Da questi piccoli successi è nato un metodo che ha portato molti ragazzi a migliorare le proprie capacità di comunicazione e a partecipare a vere partite.
Con il tempo, il metodo si è strutturato: le fasi iniziali prevedevano semplici giochi con il pallone, poi passaggi a coppie e infine tiri a canestro, il tutto svolto in maniera graduale e adattata ai bisogni di ogni ragazzo. "Ogni passaggio di palla, ogni canestro segnato era una conquista", ricorda Ziosi. Il metodo non si limitava a insegnare lo sport, ma cercava di far emergere le potenzialità di ciascun ragazzo, valorizzandone le abilità piuttosto che focalizzarsi sui limiti. La Lucciola è riuscita così a trasformare il basket in un potente mezzo di inclusione e riabilitazione.
Dalla Lucciola al “Baskin”
Il successo del metodo ha attirato l’attenzione di molte altre realtà locali. Calamai ha collaborato con diversi centri e associazioni, contribuendo alla nascita del “baskin” (basket inclusivo), un’attività che oggi consente a ragazzi con e senza disabilità di giocare insieme in squadre miste. "Calamai è stato il primo a rompere i ghetti delle diverse disabilità, mettendo in comunicazione, sullo stesso parquet, ragazzi con sindrome di Down, autistici, con disabilità o senza", sottolinea Ziosi. La rivoluzione consisteva nel creare un ambiente in cui tutti potessero contribuire e collaborare, a prescindere dalle proprie capacità fisiche o cognitive.
Inclusione attraverso il gioco: la collaborazione con le scuole
La Lucciola ha inoltre collaborato fin da subito con le scuole del territorio, portando ragazzi non disabili a condividere il campo con i giovani con disabilità del centro. L’obiettivo non era solo quello di promuovere l’attività fisica, ma di diffondere i valori dell’inclusione e della collaborazione. "Volevamo far comprendere che la disabilità è parte della vita e che, al di là delle difficoltà, è possibile costruire relazioni significative", afferma Ziosi. Questo percorso ha insegnato a generazioni di studenti a vedere la diversità come una risorsa, e non come un ostacolo. "Come diceva un ragazzo del centro: ‘Io vengo alla Lucciola per imparare il gusto della vita e accendere le sinapsi. Ma i sapori sono tanti, tra cui quello amaro".
Gli allenamenti oggi: un lavoro di squadra
Oggi, ogni giovedì, il centro organizza regolarmente allenamenti seguiti da tre operatori specializzati in psicologia, neuropsichiatria infantile e tecniche educative. A partecipare sono circa quaranta ragazzi con disabilità fisiche e cognitive, seguiti con dedizione e competenza da un team che ha fatto proprio il metodo Calamai. "Non si tratta solo di insegnare a giocare a basket", sottolinea Ziosi, "ma di sviluppare competenze sociali, gestire le emozioni e imparare a lavorare insieme". La forza del metodo sta nella sua capacità di adattarsi alle esigenze di ogni ragazzo, creando un ambiente in cui tutti, disabili e non, possano sentirsi parte di una squadra.
Il lascito di Calamai: una lezione che continua
Sebbene oggi Calamai non sia più coinvolto quotidianamente nelle attività, il suo contributo rimane fondamentale. Ogni anno torna per fare aggiornamenti e consulenze, mantenendo vivo il legame con La Lucciola. "Per noi è più di un allenatore: è un amico, un maestro e una parte della nostra storia", afferma Ziosi. Il suo metodo ha cambiato la vita di molti giovani e ha creato una nuova cultura dell’inclusione attraverso lo sport. "Grazie a Calamai, abbiamo imparato a non fermarci mai di fronte alle difficoltà, ma a trasformarle in opportunità". Un lascito che continua a guidare il lavoro della Lucciola e a ispirare centri e associazioni in tutta Italia.
Photo credits: La Lucciola