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15 Novembre 2024Il fischio d’inizio della partita del 6 ottobre segna qualcosa di più profondo di un semplice incontro di campionato del Csi Open a Padova: è il primo passo sul rettangolo verde del No Borders Team, una squadra che porta con sé sogni e speranze di ragazzi provenienti da terre lontane. È l’inizio di un viaggio di riscatto, un simbolo di integrazione che trova espressione in ogni passaggio, in ogni tiro, in ogni corsa dietro a un pallone.
Il progetto di Quadrato Meticcio
Il progetto No Borders, nato quasi un anno fa, è il frutto della volontà e della collaborazione tra l’associazione multietnica Quadrato Meticcio e le cooperative che si occupano di accoglienza della città. Il campo di via Dottesio è diventato il teatro di questa piccola grande rivoluzione. Qui, giovani provenienti da sette diverse nazioni africane si allenano, imparano e crescono insieme, trovando un momento di vita autentica al di fuori delle mura dei centri di accoglienza.
Ma questa data, il 6 ottobre, non è priva di significato. Solo tre giorni prima, il ricordo della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando 367 persone persero la vita nel Mediterraneo. Molti dei giocatori del No Borders Team hanno conosciuto il mare, l’hanno sfidato, e sono sopravvissuti portando sulle spalle il dolore e la memoria di chi non ce l’ha fatta. Paola Cosma, della cooperativa Levante, ha detto a Il Mattino di Padova: «Questi ragazzi portano con loro dei ricordi tragici e delle mancanze che hanno dovuto subire durante il viaggio, storie di amici e familiari che non ci sono più».
La vera sfida, per loro, si combatte soprattutto fuori dal campo, con le difficoltà di una burocrazia che interferisce anche con l’amore per il pallone: agli allenamenti i ragazzi sono più di venti, ma solo a quattordici di loro è stato possibile il tesseramento, perché per gli altri i documenti non sono ancora in regola.
La partita
Quando l’arbitro dà inizio alla partita contro il Torreglia, l’emozione è palpabile. Un errore difensivo consegna il vantaggio agli avversari, ma la reazione del No Borders Team non si fa attendere. Con grinta e gioco atletico, riescono a pareggiare poco prima della fine del primo tempo. La rimonta si completa nella ripresa, quando la squadra si impone per 3-2, celebrando la vittoria mano nella mano, correndo verso i loro tifosi come fanno le squadre dei grandi campionati.
A bordo campo, c’è un pubblico speciale. Don Giancarlo, parroco di San Girolamo, come dichiarato a Il Mattino di Padova, osserva fiero: «Dopo tutte le battaglie per difendere questo campo, essere qui è il minimo». Presente anche Floriana Rizzetto, presidente dell’Anpi, a testimoniare che l’integrazione è una forma di resistenza. In un quartiere che lotta per superare le sue difficoltà, lo sport si trasforma in un linguaggio comune, capace di unire.
Il triplice fischio non segna la fine di tutto. Inizia il terzo tempo, tra bibite analcoliche, patatine, frutta e sorrisi larghi. Il campo diventa un luogo di celebrazione, una testimonianza concreta che l’inclusione non è solo un ideale, ma una realtà che può essere vissuta, abbracciata e festeggiata.
Lo sport, con la sua capacità unica di abbattere barriere, dimostra ancora una volta che il vero gioco non si limita ai confini del campo, ma si estende ben oltre, unendo storie, culture e speranze sotto lo stesso cielo.