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6 Giugno 2022Pensando al fair play spesso vengono in mente scene di “normale” correttezza sui campi di calcio, o in generale sui grandi palcoscenici dello sport mondiale.
Ma la vera ricchezza dello sport, come risorsa sociale inesauribile, sta nei valori che è in grado di diffondere tra la gente comune.
La correttezza, la lealtà, il rispetto, possono essere coltivati in ogni disciplina, comprese quelle più “di nicchia”. Lo sa Giuseppe Famigliolo, della JDC Cheerleading Academy: «Il nostro sport prevede delle gare, a tutti livelli, dal locale al mondiale», spiega. «Il rispetto si mette in pratica soprattutto prima e dopo la routine delle altre squadre, coinvolgendo il pubblico».
«Partecipando e applaudendo si dimostra fair play. Non c’è un confronto diretto tra squadre, ma c’è grande senso di rispetto per i punteggi e la decisione dei giudici. Chi fa la migliore performance vince e viene applaudito dagli altri, perché noi in primis sappiamo le difficoltà che ci sono dietro a un’esibizione ben preparata, e quindi siamo i primi ad applaudire chi vince». Uno sport, il cheerleading, che per caratteristiche si dimostra anche particolarmente inclusivo: «Per noi non è importante che si sia ragazzini o adulti, con un tipo di fisico piuttosto che un altro», aggiunge Famigliolo. «Tutti possono fare questo sport».
Tifare gli avversari
A dimostrazione di come di fair play si possa legittimamente parlare anche in sport dove non c’è contatto fisico, c’è anche la bella storia che racconta Manuel Balconi, della Federazione italiana pesistica e Crossfit: «Durante una gara mi è capitato di vedere un bell’episodio di fair play. Alcuni team si stavano fronteggiando dandosi il cambio su biciclette che conteggiano lo sforzo in calorie. Uno di questi otto team aveva la bicicletta rotta e le calorie non salivano».
«Tutti gli avversari sono intervenuti chiedendo all’organizzazione che potessero ripetere la prova. L’organizzazione ha detto di sì e il team ha ripetuto la prova con tutti gli altri team intorno che li incitavano e li applaudivano. Un episodio che mi è rimasto impresso».
Tornare a ballare
Esistono realtà che dell’inclusione attraverso l’attività fisica fanno la propria ragion d’essere. Anche in modo del tutto non agonistico, come racconta Claudio Mocellini, dell’associazione sportiva “Simply Dancers” di Bolzano: «Non siamo una scuola di ballo», dice. «Abbiamo fatto qualcosa di diverso, allo scopo di aiutare. Creiamo situazioni gratuite per gli anziani, perché possano sentirsi a casa».
«Durante la pandemia non si poteva più uscire, per questo abbiamo creato un’iniziativa chiamata “Torna a ballare-over 65”, perché queste persone si potessero muovere. Se no non si usciva più di casa. Questo per me è fair play nella vita è aiutare chi è in difficoltà. Stiamo lavorando a nuove collaborazioni seguendo la filosofia del mettere al primo posto la gente. Non lucrare, ma offrire».